02 ottobre, 2014

Guarda come il cervello reagisce alla tua canzone preferita

La risposta (positiva) del cervello al nostro brano musicale favorito è pressoché universale, a prescindere dal genere che ci piace ascoltare.

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Mozart, Rihanna o Duke Ellington non importa: quando ascoltiamo il nostro brano preferito, riportiamo tutti analoghe sensazioni, come il ricordo di esperienze personali dal forte contenuto emotivo, o pensieri che riguardano il nostro vissuto.

Ora i neuroscienziati hanno capito il perché: l'ascolto del genere musicale favorito, qualunque esso sia, attiva sempre uno specifico network di connessioni cerebrali, indipendentemente dal tipo di musica e dalla presenza o meno di parole nelle canzoni.

CERVELLI ALL'ASCOLTO. Mentre l'ascolto di un brano musicale che non amiamo non genera nessuna emozione, sentir risuonare i pezzi di un gruppo che amiamo crea immediatamente un riflesso introspettivo. Questo è noto da tempo, ma le dinamiche neurali all'origine di queste sensazioni non erano ancora state indagate a fondo.

I ricercatori dell'Università del North Carolina, e della Wake Forest School of Medicine di Winston-Salem (USA) hanno esaminato le risonanze magnetiche funzionali (fMRI) di 21 volontari sottoposti all'ascolto di brani musicali di vario genere. In particolare, sono state analizzate le scansioni cerebrali prese in tre condizioni: l'ascolto di un pezzo del proprio genere preferito, di un pezzo del genere meno amato, e della propria canzone favorita in assoluto.
            

SOGNI AD OCCHI APERTI. Le analisi hanno evidenziato che, quando si sente la propria canzone preferita, nel cervello si attiva una rete di aree cerebrali chiamata default mode network (DMN): un circuito importante per il lavoro mentale di introspezione e di elaborazione di piani, progetti e azioni, che funziona solitamente quando una persona è sveglia, ma a riposo (nei momenti, cioè, in cui possiamo lasciare la mente libera di vagare). Lo stesso circuito si disattiva temporaneamente quando ascoltiamo una canzone che non ci piace.


RECUPERO DEI RICORDI. Non solo. Il nostro pezzo preferito sembra potenziare la connettività tra le regioni cerebrali che processano gli stimoli uditivi e l'ippocampo, una struttura cerebrale implicata nel consolidamento della memoria e delle emozioni sociali. Entrambe le condizioni si verificano indipendentemente dal genere cui appartiene la canzone preferita, e sia essa con o senza parole.


«Questi risultati possono spiegare perché persone che ascoltano brani molto diversi, come quelli di Eminem o Beethoven, sperimentino gli stessi stati emotivi e mentali» commentano gli autori dello studio. I risultati potrebbero servire a impostare nuove forme di musicoterapia dirette, per esempio, a chi soffre di autismo.

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01 ottobre, 2014

good night

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Essere troppo "tecnologici" ci cambia il cervello

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Fare troppe cose tutte insieme e utilizzare contemporaneamente troppi dispositivi elettronici modifica la struttura del nostro cervello: lo conferma un recente studio pubblicato su PloS One a firma di Kep Kee Loh e Ryota Kanai dello University College di Londra.

UNA COSA ALLA VOLTA... I ricercatori hanno chiesto a 75 adulti di circa 25 anni di età di rispondere a un questionario sulle abitudini di utilizzo di 10 dispositivi diversi: carta stampata, televisione, video in streaming, musica, sms, telefonate vocali, instant messaging, e-mail e app.

40 partecipanti all’esperimento sono stati quindi sottoposti a risonanza magnetica funzionale per misurare il flusso di sangue all’interno del loro cervello. Gli scienziati hanno scoperto che le persone abituate a utilizzare conteporaneamente più gadget avevano una minor densità di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore, la zona del cervello deputata al controllo delle funzionalità emotive e cognitive.

NON SOLO ANSIA. Già in passato altri studi avevano evidenziato come l’eccessivo utilizzo di più dispositivi in contemporanea (per esempio smartphone e tablet, magari mentre si guarda la TV), potesse causare deficit di attenzione, favorire l'ansia e, nei casi più estremi, forme depressive.

«La nostra ricerca è la prima a collegare il comportamento multitasking alla struttura fisica del cervello: questo modo di utilizzare la tecnologia è sempre più diffuso e c’è una preoccupazione crescente per le possibili conseguenze sul benessere emotivo» spiega Loh.

PRIMA LA CAUSA O L'EFFETTO? Il meccanismo che provoca la diminuzione di densità della materia grigia potrà essere chiarito solo con ulteriori studi: al momento non vi è certezza nemmeno sulle relazioni causa-effetto.

«È possibile che gli individui con una più bassa densità di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore siano maggiormente portati a comportamenti multitasking a causa di una debolezza strutturale del loro cervello, che non riesce a controllare pienamente le emozioni» conclude Loth.

10 cose che non sapevi sulla pizza !



Quando è nata la pizza moderna? E quando è sbarcata in America? Davvero gli astronauti presto la mangeranno nello spazio? Che si intende per effetto pizza? Esiste la pizza light? E, soprattutto... Che c'entra Google con la pizza? 10 curiosità sul piatto italiano più conosciuto al mondo.



  1. Quando è nata. La pizza moderna, come la conosciamo oggi, è nata a Napoli. Ne parla anche Alexandre Dumas padre nel suo Corricolo (1835). Nel 1889 Raffaele Esposito e sua moglie Rosa Brandi, titolari di una pizzeria a via Sant'Anna di Palazzo, per fare omaggio alla Regina Margherita, moglie di Re Umberto I, prepararono un pizza tricolore a base di pomodoro, basilico e mozzarella. Era ufficialmente nata la Margherita.
  2. La pizza e gli americani. Sbaglia chi crede che gli americani abbiano scoperto la pizza molti anni dopo noi italiani. Anzi, forse alcuni l'hanno conosciuta persino prima. La prima pizzeria di New York ha infatti aperto i battenti nel 1905, da un'idea dell'emigrante Gennaro Lombardi. Erano passati solo 15 anni dall'invenzione della Margherita. E il successo fu quasi immediato. Oggi la pizza più popolare negli Usa è la pizza Pepperoni (al salame piccante).
  3. La pizza e Google. A metà degli anni 90, prima di creare Google, Sergey Brin mise in piedi un servizio che permetteva di ordinare la pizza via internet sfruttando il fax dei ristoranti. Fu un grande fallimento che, come ha raccontato lui stesso, gli insegnò che le persone non sempre rispettano le decisioni prese. Ma se avesse funzionato, forse oggi non avremmo Google.
  4. La pizza più cara. Ordinare una pizza e pagare con i bitcoin? Lo ha fatto nel 2009 il programmatore Laszlo Hanyecz, che ha pagato per due pizze a domicilio 10mila bitcoin. Che oggi equivalgono a più di 3 milioni di euro.
  5. La pizza gelata. Fino a un paio di anni fa la pizzeria Airport Pizza nella città di Nome, in Alaska, spediva le pizze con l'aereo ai villaggi vicini, sprovvisti di pizzeria. Per ottimizzare i viaggi, erano necessarie almeno 30 ordinazioni (a 10 dollari l'una).
  6. La prima pizza via web. Nel 1994 una pizzeria della catena Pizza Hut a Santa Cruz in California aprì un sito web dove era possibile ordinare la pizza online, creando di fatto il primo esempio di e-commerce al mondo.
  7. La stampante 3D per fare la pizza. La Anjan Contractor di Austin, Texas, ha ricevuto 125,000 dollari dalla NASA per sviluppare il prototipo di una stampante 3D in grado di stampare una pizza, miscelando alcuni alimenti in polvere e l'acqua. Se funzionerà, verrà data in dotazione agli astronauti impegnati nelle lunghe missioni spaziali.
  8.  I più veloci. A giugno 2014 a Las Vegas si è tenuta la gara dei pizzaioli più veloci: ha vinto l'inglese Pali Grewal, che è stato in grado di impastare e infornare 3 pizze in 32 secondi e 28 centesimi.
  9. Che cos'è l'effetto pizza. In sociologia si parla di effetto pizza quando un fenomeno locale ha successo prima all'estero che nel paese d'origine, dove torna da protagonista in un secondo momento.
    Il primo a parlarne fu nel 1970 l'antropologo Agehananda Bharati per spiegare come la popolarità dello yoga e delle discipline orientali in occidente avesse contribuito a farle conoscere anche in patria. Secondo lui anche la pizza aveva vissuto lo stesso destino, diventando famosa prima negli Usa e poi in Italia.
  10. La pizza light. A PizzaUp, simposio tecnico sulla pizza che si è tenuto nel 2013 a Padova, sono state presentate varie ricette, supportate da ricerche universitarie, per togliere alla pizza il 30% di calorie, senza modificarne il sapore.

    Il segreto sarebbe nella farina, non più di grano, ma di cereali e legumi, più equilibrati e salutari dal punto di vista nutrizionale. Ma i fan delle vera pizza napoletana non ci stanno.
ORA TUTTI A MANGIARCI UNA BELLA PIZZA ! :)
© Oliver Weber / pixelio.de

Primo caso di ebola negli Stati Uniti

   

Un uomo arrivato a Dallas dalla Liberia ha sviluppato i sintomi della febbre emorragica, e si trova ora in isolamento. Cinque cose da sapere per interpretare correttamente la vicenda.


   

La notizia è arrivata nella serata di ieri: un uomo partito dalla Liberia e atterrato in Texas ha sviluppato i sintomi del virus Ebola, e si trova ora in isolamento. Si tratta del primo caso di infezione diagnosticato direttamente sul suolo statunitense (e per questo diverso da quelli degli operatori sanitari ammalatisi in Africa e curati negli USA). Ma chiariamo meglio, per punti, come sono andate le cose.

QUANDO E COME È ACCADUTO. Il paziente, il cui nome non è stato diffuso, è partito dalla Liberia il 19 settembre scorso per arrivare negli Stati Uniti il giorno successivo. La sua nazionalità non è nota, ma le autorità sanitarie statunitensi hanno fatto sapere che l'uomo si trovava negli USA per far visita ad alcuni parenti. Cinque giorni dopo l'arrivo, sono sorti i primi sintomi dell'infezione. L'uomo si è recato in ospedale venerdì 26, ma è stato ricoverato e messo in quarantena solo domenica. Ora si trova al Texas Health Presbyterian Hospital di Dallas.

RISCHI PER I COMPAGNI DI VOLO. Quando ha preso l'aereo, l'uomo non sapeva di aver contratto l'infezione, e non mostrava alcun sintomo. Poiché il virus è contagioso solo a partire dalla manifestazione dei primi sintomi, per i passeggeri che hanno preso lo stesso volo non dovrebbero esserci rischi: le autorità sanitarie statunitensi non hanno infatti predisposto nessuna misura nei loro confronti. L'infezione, come abbiamo visto, non si trasmette per via aerea ma solo attraverso il contatto con i fluidi corporei di una persona infetta.

RISCHI PER I CITTADINI DI DALLAS. Diverso è il discorso per i parenti e i conoscenti che sono venuti a stretto contatto con l'uomo quando era già infettivo, dopo la manifestazione dei primi sintomi. Queste persone (poche, secondo il portavoce dei Centers for Disease Control and Prevention che ha dato la notizia) saranno monitorate per 21 giorni, il tempo massimo di incubazione del virus. Esiste una possibilità che qualcuno di loro possa aver contratto il virus, e che ne sviluppi i sintomi nelle prossime settimane.

GLI STATI UNITI SONO PRONTI ALL'EMERGENZA? I Centers for Disease Control and Prevention rimangono il punto di riferimento da contattare per chiunque credesse di manifestare i sintomi. Sono raggiungibili telefonicamente con un numero verde (800-CDC-INFO) e sono pronti per assicurare cure di alto livello ai contagiati. TUttavia le persone che sono entrate in contatto con il paziente saranno direttamente contattate, in queste ore, dalle autorità sanitarie USA. Ma si tratta di "una manciata" di nominativi.